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Corriere della SeraFoto Severgnini

Guardare i disabili come persone normali

Beppe Severgnini,

Questo è l'anno europeo dedicato alle persone disabili: ve ne siete accorti? Se la risposta è no, niente sensi di colpa. Oltre a essere poco italiani, sarebbero fuori luogo. Sono stati i media - noi, quindi - a parlare poco della cosa. Forse perché non sappiamo come fare.

Il problema della disabilità - lo dice un ignorante disposto ad imparare - è affrontato in questo nostro amato buffo Paese in tre modi: con la smorfia, con la lacrima o con gli occhi chiusi. Ovvero: con fastidio, con una pena che irrita giustamente i disabili, con la rimozione. Quest'ultimo è il trucco più vecchio. Credete che non ci fossero, un tempo, i disabili? Certo che c'erano, ma venivano nascosti e, nei casi più gravi, rinchiusi (in una stanza, in un istituto). Solo nelle campagne, le famiglie allargate trovavano spazio per loro. I disabili avevano un ruolo, certo non moderno, ma in maniera rudimentale venivano accettati.

C'è un quarto modo sbagliato d'affrontare la questione, ed è soffocarla sotto le parole d'ordine della "correttezza politica". Definire qualcuno "normadotato", per esempio, è ridicolo. Chiamarlo "normale" è invece inesatto (se conoscete una persona veramente normale, fatemi un fischio: le dedichiamo una rubrica). C'è l'aggettivo "abile", non basta? Semmai si tratta di definirlo, questo vocabolo, e di annotarne l'imprecisione. L'ha fatto magistralmente Beppe Pontiggia, autore di "Nati due volte" (Mondadori). L'ho ascoltato sere fa a teatro, presentato da Paolo Di Stefano. Per due ore, non s'è sentita volare una mosca. Parlando del figlio, Pontiggia ha spiegato come la difficoltà non venga solo da situazioni oggettive. Viene dalla confusione, dall'inutile compatimento, dalle forzature retoriche che circondano l'argomento. A proposito: "Nati due volte" è un libro bellissimo. Se ha vinto il Campiello, si può tornare ad avere fiducia in (alcuni) premi.

Sulla difficoltà d'informare mi ha scritto Franco Bomprezzi, direttore editoriale di www.superabile.it, portale pubblico dedicato ai temi della disabilità. "Ero a Bari per la conferenza nazionale in materia. Quello che succedeva a Roma, ma soprattutto quello che stava per succedere nel mondo, ha creato un 'coprifuoco dell'informazione sociale'. Si è sempre parlato poco e male di handicap e dintorni: ora è quasi impossibile. E infatti i giornali e i Tg (con qualche lodevole eccezione) hanno dedicato a Bari una 'breve' nel migliore dei casi. Eppure lì sono arrivati, con ogni mezzo, oltre duemila fra disabili, operatori, volontari. Con problemi di trasporto, di alloggio, di servizi igienici. Ma avevano voglia di parlare, di discutere, di dimostrare un diritto di cittadinanza che l'Europa, in questo 2003, vorrebbe portare in primo piano. Ma non lo sta facendo."

Ha ragione, Bomprezzi. Ci sono tre milioni di italiani dei quali sappiamo poco o nulla, tranne quando diventano vittime o carnefici. Li guardiamo, e non li vediamo. Oppure li vediamo e li guardiamo troppo, come bestiole in uno zoo. Costa, la disabilità: ma dove diavolo vuole spenderli i soldi, uno Stato europeo moderno, se non in campi come questo? Sento parlare di riduzioni drastiche degli insegnanti di supporto. Vedo l'offesa umiliante delle automobili di Milano parcheggiate davanti agli scivoli d'accesso dei marciapiedi. Trovo gradini inutili dovunque, con la seggiola montapersone che nessuno sa come usare, e arrugginisce penosamente. E' dura, l'Italia, per un disabile. Ho un'amica (brava persona, bella testa, scienziata di valore) che non ha l'uso delle gambe. Dopo aver trascorso anni belli e frenetici a Londra, è tornata in patria, ed è scappata orripilata. Là si sentiva una persona; qui un peso. Ora vive in Nuova Zelanda, e credo sia felice.

Un articolo così, per tradizione, dovrebbe chiudersi con una frase: "E cosa fa l'Italia, invece di occuparsi di questi problemi? Guarda il Festival di Sanremo". Io dico invece: guardate pure il Festival, se vi piace (magari spiegatemi perché, già che ci siete). Ma quando spegnete il televisore, ricordate: esistono tre milioni di italiani che - come dice Bomprezzi, collega in sedia a rotelle - non vogliono né sconti né privilegi. Solo diritti, opportunità, e, magari, doveri.

dal Corriere della Sera di Giovedì 6 marzo


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