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Il Progetto VOICE per la Didattica: i bisogni degli studenti universitari audiolesi
Un'esperienza positiva, ancora migliorabile
Testimonianza di Giuliano Pirelli, padre di Giacomo Pirelli, studente audioleso
presso il MultiDams dell'Università di Torino

1. Un'esperienza positiva

L'esperienza universitaria del primo anno di Giacomo presso il MultiDams di Torino si è conclusa molto bene, portando anche al superamento degli esami con un'ottima media. Ciò mi consente di parlare in modo obiettivo delle sue difficoltà e dell'aiuto fornito dal Servizio Disabilità dell'università.
Sì è trattato nell'insieme di una situazione positiva, forse e soprattutto perché la scelta degli studi corrispondeva esattamente ai desideri ed alle attitudini di Giacomo, il quale peraltro ha dimostrato un impegno regolare e notevole.
Ha trovato sia in casa che nell'università e nel collegio universitario gli ambienti e gli aiuti opportuni; in particolare, egli sottolinea nella sua relazione l'importanza del contributo degli studenti "150 ore".

Perchè cerco di completare la sua relazione con la mia presente? Perchè vi sono alcuni elementi che possono essere visti con il dovuto distacco e con la conoscenza di entrambi i mondi, quello degli udenti e quello dei non udenti e delle possibilità di questi ultimi di interagire nel mondo dei primi.
Molte delle osservazioni qui riportate sono mie personali, frutto di anni di vicinanza al problema, tra l'altro anche seguendo diversi studenti audiolesi che hanno effettuato uno stage per la tesi di laurea sul Progetto VOICE. Altre osservazioni sono scaturite in numerosi incontri organizzati da Associazioni di audiolesi e più in particolare una serata di discussione organizzata dal Lions Club di Gallarate nel settembre 2002.

2. Un'esperienza migliorabile

Concentriamoci quindi su che cosa, eventualmente, potrebbe essere ancora migliorato: ciò, non come critica a quanto di positivo è stato fatto, ma come spunto di riflessione per i professori ed i Servizi Disabilità della sua ed altre università. E ciò, non più per Giacomo, perchè si è trattato di difficoltà intrinseche del primo anno, ma perchè credo sia doveroso condividere la nostra esperienza, nella speranza che possa servire di riferimento e di base per un miglioramento per gli studenti audiolesi che seguiranno.

Nei contatti precedenti l'iscrizione, in risposta alle nostre domande ci fu detto che era prematuro approfondire i dettagli delle forme di sostegno che sarebbero state previste a tempo debito, ma che potevamo essere tranquilli che queste sarebbero state messe in atto nel modo migliore e con la dovuta sensibilità.
Questa risposta un po' generica poteva essere interpretata in modo evasivo o costruttivo: per fortuna i fatti hanno dimostrato che la seconda interpretazione era quella corretta.
Unico neo era costituito dal fatto che il ragazzo doveva richiedere di volta in volta i servizi opportuni, pur non conoscendone esattamente l'esistenza, e che di fatto doveva prevedere i possibili problemi e farli presenti. Ciò era tuttavia compensato da una buona velocità di reazione da parte del Servizio Disabilità e, a posteriori, si può anche ammettere che abbia portato ad una maggiore auto-responsabilizzazione di Giacomo come utente di un servizio.

3. Gli studenti "150 ore"

Giusto per fare degli esempi concreti, all'inizio dell'anno accademico il primo studente "150 ore" è stato disponibile con una settimana di ritardo, ma comunque sostituito temporaneamente da un obiettore di coscienza; il periodo di disponibilità del primo studente "150 ore" terminava la settimana prima degli esami, per cui proprio in tale periodo difficile Giacomo restava scoperto e senza aiuto per completare la preparazione degli esami ed essere accompagnato durante gli esami stessi; la stessa situazione sì è verificata in parte, ma in misura minore, anche per gli esami di fine anno.
Questo spunto porta ad estendere la discussione ad un livello più generale, quello del ruolo dei gli studenti "150 ore". La loro funzione principale è stata quella di prendere gli appunti, sia perché Giacomo potesse leggerli dopo la lezione, sia perché potesse prenderne visione durante la lezione stessa, per seguirla meglio e poter maggiormente far parte del gruppo classe. Ovviamente in ciò bisognava tenere conto della preparazione degli studenti, in qualche caso non specifica per determinate materie.
Per entrambe queste considerazioni, forse, invece di disporre di uno studente ogni tre mesi, sarebbe stato preferibile disporre contemporaneamente di due studenti per sei mesi, in modo da poterli alternare per prendere gli appunti, ognuno nelle materie per le quali aveva una preparazione specifica. Ciò al tempo stesso avrebbe assicurato la presenza di almeno uno dei due nel periodo degli esami.

Resta aperta la domanda se rientri nei loro compiti un aiuto nel periodo dell'esame, o per studiare direttamente con il ragazzo o per facilitare i contatti con altri compagni con i quali studiare insieme, vista l'impossibilità della comunicazione via telefono.
Certo, per uno studente audioleso, quando tali contatti non si realizzano al momento giusto ma finiscono con l'avvenire solo pochi minuti prima dell'esame, è frustrante scoprire di non essere stato informato di alcuni dettagli importanti, per esempio alcune pagine di esercizi, alcuni comandi specifici dei programmi software, alcune semplificazioni o variazioni dei programmi d'esame, che, se fossero stati noti prima, avrebbero facilitato lo studio.

Grazie alle loro buone capacità, sensibilità e disponibilità personale, gli studenti "150 ore" si sono adattati a diverse necessità, per es. aiutando nei contatti al di fuori dell'aula, con il Tutor, i professori e le strutture esterne, quali biblioteche e centri di documentazione, contatti per Giacomo particolarmente importanti, almeno all'inizio per apprendere nuove vie.
Forse, in un caso positivo come questo, si potrebbe immaginare che gli studenti "150 ore" possano individuare altri compagni ai quali affidare la presa di appunti (in certi casi o per certe materie) e dedicare parte del loro tempo a questi compiti addizionali.
In un mondo ideale, magari il Sevizio Disabilità potrebbe di sua iniziativa dedicare più tempo agli studenti audiolesi prima delle prime lezioni all'inizio dell'anno accademico, per affrontare diversi problemi di ambientamento sociale e di orientamento didattico. Si tratta di problemi pesanti per chi per la prima volta si trova confrontato ad un ambiente nuovo, con regole diverse da quelle del liceo, che causano un notevole disorientamento in chiunque, in particolare in uno studente con disabilità.

4. Disabilità ed handicap

Per continuare il discorso ed approfondire alcuni aspetti è necessario fare una premessa, con riferimento in senso lato ad alcune definizioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.
Una persona affetta da grave menomazione o disturbo funzionale ha una certa dis-abilità, cioè un'incapacità obiettiva a svolgere determinate funzioni; tale stato porta il soggetto a trovarsi in una situazione di handicap laddove l'organizzazione sociale della vita pratica gli impone di superare degli ostacoli obiettivi.
Per es. un anziano costretto sulla sedia a ruote è dis-abile a camminare, ma non è handicappato per girare nella sua casa, nel suo giardino, nella casa dei vicini, nel bar dove gioca a carte e nella chiesa di fronte, tutti senza scalini. Diventa un handicappato se deve servirsi di un trasporto pubblico mal concepito o recarsi in un ufficio non accessibile. Egualmente, un giovane robusto diventato sordo in guerra in seguito ad una cannonata, un tempo non era dis-abile se al ritorno a casa doveva zappare la terra, mentre oggi diventa handicappato se deve rispondere al telefono, ascoltare una conferenza, vedere un film, seguire una trasmissione televisiva non sottotitolata, o una lezione universitaria che non tenga conto dei suoi limiti.

Ogni persona, per certi aspetti dis-abile, ha per altri aspetti delle potenzialità significative che meritano di essere evidenziate ed incoraggiate, fino a giustificare l'uso di una A maiuscola nel termine appena citato: dis-Abile. Quando a tre anni Giacomo perse l'udito in seguito agli orecchioni, a livello compensativo sviluppò o evidenziò notevoli capacità nel disegno. Ed oggi si può considerare dis-Abile nel senso che, ogni volta che se lo può permettere, chiede al suo interlocutore: "Sai leggere sulle mie labbra?" E dimostra così di essere diversamente abile, divers-Abile, più abile di altri in certi campi. (Ed ovviamente si arrabbia quando, per il rumore intenso nel metrò o ad una festa, gli chiedo di smettere di parlare, perchè io non so leggere sulle sue labbra!)

5. I problemi di comunicazione

Fin dove si estendono le difficoltà incontrate dagli audiolesi?
Esse coinvolgono tutti gli aspetti della vita quotidiana legati alla comunicazione. La sordità non implica solo il non sentire, ma comporta profonde difficoltà nello sviluppo del linguaggio e nel modo di relazionarsi con il prossimo.
Fin dalla prima infanzia manca l'esposizione ai suoni ambientali, sia quelli di allarme, sia quelli rassicuranti di presenza di altri (genitori), sia di richiamo (nei giochi), creando al tempo stesso insicurezza, isolamento, iperattività.
Vengono a mancare le infinite occasioni di esposizione al linguaggio, l'immersione in migliaia di frasi, in casa, a scuola, per strada, nei negozi, nei mezzi di trasporto, o provenienti dalla radio o dalla televisione. Inoltre, la necessità di frequenti interventi logopedici impone ritmi diversi, limitando i contatti propri dell'infanzia e la spontaneità tipica di quell'età.

Questo insieme di problemi porta a diventare adulti in fretta, ma con una difficoltà di gestione dei sentimenti e soprattutto delle loro sfumature. Da segnalare, ma senza qui approfondire il tema, da un lato il protrarsi di uno stato d'ingenuità e di fiducia nel prossimo (quanti sforzi per insegnargli a dire le prime bugie, innocenti ma talvolta necessarie!) e, all'estremo opposto, un accumulo di insoddisfazioni inespresse, con conseguenti stati di rabbia, fino a possibili esplosioni di collera. Da tenere presenti, inoltre, attitudini corporee differenti, poichè i familiari, gli amici ed anche gli estranei si sentono in diritto di toccarlo frequentemente per attirarne l'attenzione prima di parlare.
Nella migliore delle ipotesi, in un ragazzo audioleso oralista che eserciti una discreta lettura labiale, è inevitabile uno spostamento degli spazi e dei tempi, dovuto ai ritmi diversi imposti nel dialogo. Guardare diventa una necessità vitale per comprendere l'interlocutore, assicurarsi di essere compreso da lui, intuire chi in un gruppo sta parlando e più in generale cosa sta avvenendo in un determinato ambiente. Fino al punto da dover dormire con gli occhi socchiusi per mantenere un qualche contatto con il mondo e percepire la luce delle suonerie luminose della sveglia, del telefonino e altri segnali.

L'audioleso non può sfruttare i momenti in cui gli udenti sono più disposti alla comunicazione: in auto vede male le labbra del guidatore, e lo stesso problema si presenta durante una passeggiata, a tavola deve guardare nel piatto, sulla spiaggia dopo aver tolto le protesi perde ogni residua possibilità di richiamo sonoro... e quindi è costretto a infastidire gli altri in momenti considerati di riposo o inopportuni.
Non solo la posizione reciproca è importante per una buona visione per consentire lo scambio di informazioni, ma la velocità di tale scambio è ridotta e lo sforzo accentuato. Si tende a lasciare meno tempo al dialogo o, per essere più precisi, si lascia lo stesso tempo e quindi, visto che si parla più lentamente, si riesce solo a pronunciare frasi più corte. Si è meno disposti a dedicare tempo e sforzi a battute banali e si perdono le infinite sfumature della conversazione, spesso costretti a ridursi a frasi sintetiche o a semplici SI o NO.

Avete intuito che cosa vi sto proponendo di fare stasera per avvicinarvi a questo mondo? Mentre cenate, togliete l'audio del televisore, seguite il telegiornale grazie ai sottotitoli della pagina 777 di Televideo, chiedete ad un familiare seduto di fronte di parlarvi articolando le labbra senza voce e, mi raccomando, continuate a tagliare la bistecca e sbucciare una pesca, magari rispondendo anche ad una seconda persona che vi chiede qualcosa per riferirla al telefono ad un vostro amico!
Questo contribuirà a far intuire il costante stress da attenzione e la continua situazione di incertezza cui sono sottoposti i ragazzi audiolesi. Tutti sperimentiamo qualcosa di simile, occasionalmente e per poche ore, in viaggio, in un grande aeroporto, in sale di riunioni multilingue, in situazioni nuove e disorientanti. Ma poi siamo ben felici di poter ritornare a casa! Per i ragazzi audiolesi invece questo stato non ha mai una fine... Bravi loro che se la cavano! Tanto di cappello! E dimostriamo quindi un po' di rispetto e di pazienza verso di loro...

6. Assistere ad una lezione

Tornando alle lezioni universitarie, oltre allo sforzo per la comprensione della lezione stessa è indispensabile un impegno costante per sopperire ad una continua mancanza di informazione, per es. la non percezione del tono delle frasi. Di fronte a lezioni apparentemente simili, come capire che in un caso il professore intende: "Vi spiego questo bene perchè è interessante, ma non è importante"; o viceversa, in un altro caso, il professore intende: "Vi spiego questo rapidamente, ma è molto importante, approfondite il tema sul libro"?
Oppure, delle frasette appena accennate, come: "Questo punto è fondamentale per la verifica scritta, ma non per l'esame orale". O semplici indicazioni, come: "La settimana prossima non farò ricevimento".

Pensate anche solo un momento alla profonda insicurezza generata dal continuo dipendere da altri, con il dubbio di non aver capito bene o di aver perso altre informazioni. E quindi la necessità di richiedere frequenti conferme ai compagni ed una conferma ulteriore via posta elettronica ai professori, i quali, oberati di messaggi, difficilmente distinguono quello proveniente da uno studente audioleso, per rispondergli prima, visto che per lui si tratta dell'unico mezzo di comunicazione.
Chi potrebbe suggerire a tutti i professori l'uso di un codice nel titolo del messaggio, con l'impegno morale da parte loro di accusare ricevuta in un paio d'ore e di rispondere in giornata? (Al telefono, ad altri, rispondono in pochi minuti...)

Tanto per citare un aneddoto per far intuire situazioni particolari che possono venire a crearsi, quando Giacomo, verso fine gennaio si reca all'ora di ricevimento e non trova il suo Tutor, un altro professore gentilmente gli dice che il Tutor è ricoverato in ospedale FINE febbraio, per cui Giacomo intende fino al 28 febbraio, rinviando così la preparazione dell'esame e perdendo di fatto una sessione; per poi scoprire che il Tutor era tornato ai primi di febbraio e che l'altro professore aveva detto FINO febbraio, intendendo dunque fino al primo febbraio!

7. Chi è confrontato all'handicap? Il professore!

Questo titolo, un po' forzato allo scopo di attirare l'attenzione, sottolinea tuttavia una grande verità.
Alla domanda: "Chi deve contribuire al superamento dei limiti di disabili?" si può rispondere: "Chi e interessato o obbligato a farsene carico"!
Il proprietario di un albergo che desideri estendere la clientela dovrà prevedere delle stanze accessibili, non tanto per quei pochi clienti che effettivamente vengono con tali difficoltà, ma anche per tutti coloro che li accompagnano (quando organizzo un convegno, sono costretto a rifiutare un albergo non adatto, pur se fra i cento partecipanti solo un paio hanno un problema effettivo).

Analogamente, nella comunicazione tra un docente ed uno studente audioleso, tutti e due devono convincersi che il problema li riguarda entrambi, visto che, non potendo servirsi di un canale sonoro limitato o assente, devono sostituirlo con un canale visivo. Pertanto, il professore deve farsi carico del problema di comunicazione verso il ragazzo audioleso, semplificando e migliorando il suo modo di espressione durante le lezioni, negli incontri nelle ore di ricevimento, durante gli esami scritti ed orali e, se possibile, creando di propria iniziativa delle occasioni ulteriori d'incontro per discutere del piano di studi o di altre difficoltà. Occasioni nelle quali dovrà fare uno sforzo non solo per essere chiaro ed assicurarsi di essere compreso, ma anche per comprendere, incoraggiando il ragazzo audioleso a parlare, magari più lentamente e più chiaramente.

Ecco perchè la sordità è così pesante e mette a dura prova un professore, il quale, se intelligente e sensibile, la considera una sfida personale, che gli impone una maggiore chiarezza, scoprendo a posteriori che essa è utile per gli studenti disabili e per tutto il resto della classe.

8. Il Tutor ed il piano di studi

La distinzione o complementarietà dei ruoli fra il Tutor e gli studenti "150 ore" è importante, ma difficile da definire e forse richiederebbe un coinvolgimento maggiore anche da parte degli altri professori.
Probabilmente la domanda che qualsiasi studente si pone è la vera finalità degli studi: quando incontra difficoltà nel definire il proprio piano di studi, avrebbe bisogno di un quadro d'insieme dei corsi degli anni successivi, i possibili stage, i soggetti per la tesi di laurea e le possibilità di lavoro professionale.

Tale difficoltà è accentuata nel caso di una disabilità, ed in particolare della sordità, che, per i suoi problemi di comunicazione, isola ancor maggiormente lo studente e non gli consente di cogliere molte informazioni, di solito comunicate solo parzialmente, o note unicamente in modo informale tramite i commenti tra i compagni, ovviamente non udibili.
Il Tutor scelto da Giacomo è stato il professore di informatica, materia di base e propedeutica ad altri corsi, quindi un ottimo punto di riferimento, sia per la preparazione della materia, sia per la definizione del piano di studi. Tale scelta si è rivelata buona su entrambi i fronti, anche per la disponibilità personale del Tutor, che ha aiutato frequentemente Giacomo nell'orario di ricevimento, approfondendo diversi temi.

Ciò nonostante, i dubbi sono rimasti egualmente e si sono ripresentati per ogni materia, sia all'inizio delle lezioni, sia avvicinandosi il periodo dell'esame. I contatti con i professori sono stati preziosi, ma non sempre sufficienti. Essi sono stati stimolati dal Tutor e più spesso da Giacomo, accompagnato da uno studente "150 ore". E' rimasta la sensazione della mancanza di una procedura automatica attraverso la quale i diversi professori venissero informati del problema e sensibilizzati agli aspetti specifici di questa disabilità, anche se di fatto le informazioni circolavano almeno parzialemente, vista l'interazione ed i contatti fra i docenti.

9. Gli esami

In altri ambienti più formali potrebbe rendersi necessaria una definizione precisa dei diritti degli studenti disabili, ed audiolesi in particolare, per la preparazione e l'esecuzione degli esami.
Trattandosi di un handicap invisibile, le sue difficoltà sfuggono a molti professori, i quali, mentre possono intuire facilmente gli ostacoli incontrati da un non vedente o da un disabile motore, potrebbero essere impreparati di fronte alle difficoltà di comunicazione proprie degli studenti audiolesi.
Nell'ambiente meno formale, e più efficace, del MultiDams non si è reso necessario ricorrere ad una definizione legale, ma è stato sufficiente sottolineare l'incertezza nella scelta fra un'interrogazione orale o delle domande scritte, corrispondente ad una difficoltà di fondo, difficilmente percepibile da chi non è addentro al problema.
Il titolo Scripta volant di una conferenza della RAI chiariva come i sottotitoli televisivi fossero effettivamente delle parole scritte, ma volanti, cioè molto brevi nel tempo, del valore del discorso orale. Un po' lo stesso problema dello stile di scrittura dei messaggini dei telefonini o dei messaggi di posta elettronica, più prossimo a quello orale.

Per tenere conto di tali difficoltà, per un esame scritto, per lo studente audioleso è sancito il diritto di disporre di un tempo maggiore. Esso dovrebbe essere fornito in modo automatico e non concesso di volta in volta dietro richiesta dello studente. E vi dovrebbe essere una certa disponibilità a considerare eventuali difficoltà non prevedibili. Per citare un altro aneddoto, relativo alle scuole medie, Giacomo aveva risposto bene alle domande di una verifica di matematica, ma si era rifiutato di rispondere ad una: "Un cliente va in un negozio ad acquistare tre bibite del costo di lire 1500 cadauna: quanto viene a spendere?" La sua osservazione fu: "Non è possibile: se va in un negozio, va a spendere, non viene a spendere!".

Per un'interrogazione orale, lo studente audioleso può desiderare fare tale interrogazione in tale modo, anche se esso potrebbe comportare per lui e per il professore uno sforzo per comprendersi reciprocamente.
Se viceversa il professore preferisce effettuare un'interrogazione scritta, lo studente audioleso può essere disposto a farla. E' però necessario sottolineare che potrebbe trovarsi in una situazione più difficile, poiché una domanda, anche se precisa, potrebbe essere interpretata in modo incorretto; inoltre, la risposta potrebbe apparire di un livello inferiore, poichè non corrispondente alla correttezza ed eleganza che ci si potrebbe attendere dal linguaggio scritto.
Bisogna quindi dire che non si tratta di un'interrogazione scritta, ma di un'interrogazione orale svolta in modo scritto, cioè dove lo scritto esprime in modo semplice ed immediato le frasi pensate in modo orale.
I professori, informati di questi aspetti, potranno giudicare durante l'esame che cosa sarà più appropriato, eventualmente facendo ricorso parzialmente ad entrambe le metodologie.

Parlando in modo molto generale, si può dire che non si tratta di un giudizio delle capacità di espressione in lingua italiana, ma della conoscenza della materia. Tale conoscenza deve fare ricorso ad una lingua italiana ragionevolmente corretta, tenendo tuttavia presente che la sordità limita l'allenamento al linguaggio, con ripercussioni non solo sul linguaggio orale ma anche su quello scritto.
Un dettaglio da non trascurare è una possibile alterazione dei momenti dello sguardo. Molti studenti audiolesi, dovendo guardare attentamente le labbra del professore quando parla, tendono a non guardarlo più quando poi parlano loro, rischiando così di perdere alcune informazioni di ritorno, per es. una parola semi-detta per indirizzare meglio la risposta o far comprendere che si sta iniziando ad andare fuori tema.


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