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aprire un dibattito.
IL GRIDO DEL GABBIANO.
Emmanuelle Laborit
Ediz. Rizzoli
Un gabbiano che emette grida incomprensibili: questo è Emmanuelle fino
all'età di sette anni, quando, per opera di suo padre, viene educata al linguaggio dei
segni e, finalmente, riesce a stabilire un contatto, a comunicare con gli altri, o meglio,
con chi come lei conosce lo stesso linguaggio.
Inizialmente questo libro mi ha sconvolta: io, madre di una ormai
adolescente sorda grave protesizzata all'età di due anni e mezzo, ho visto, come dietro
lo specchio di una candid camera, le privazioni, le ansie, le sensazioni, i sentimenti, la
rabbia e la sofferenza che anche mia figlia, proprio come descrive incisivamente la
protagonista Emmanuelle, ha subito e provato da piccolissima, immersa come lei
nell'incomunicabilità, nella tristezza della solitudine.
Ma in seguito le due storie prendono strade diverse: la protagonista del libro sceglie ed
adotta il linguaggio gestuale; io per mia figlia scelgo il "parlato" (come in un
primo tempo aveva fatto anche la madre del "piccolo gabbiano"), affinché possa
abbattere quel muro invisibile che la separa e la diversifica dagli altri.
Mia figlia ha frequentato per ben sette anni corsi di danza classica, manifestando una
spiccata sensibilità e partecipando con emozione, ma senza eccessivi timori a molte
apparizioni in pubblico.
Oggi, dopo un'estenuante rieducazione ortofonica (quella gestuale non lo è) mia figlia è
inserita in una terza liceo artistica, è abbastanza autonoma, parla, comprende e sa farsi
comprendere.
Ha un gruppo di amiche/ci normoudenti che "sanno" e l'accettano per come lei è.
Con loro va al cinema, in piscina (gestendo naturalmente i momenti in cui è senza
protesi); si reca alle feste e al concerto del gruppo in voga, ballando e divertendosi
come i suoi coetanei.
Probabilmente non vincerà un premio Molière, come invece riesce a fare l'attrice
protagonista del libro anche grazie alla sua mimica d'effetto; ma sicuramente vivrà la
sua vita normalmente come tutte le sue amiche.
Durante l'apprendimento del linguaggio parlato ha subito né più né
meno la stessa "violenza" che avrebbe sofferto con quello
"gestuale", con la macroscopica differenza che, mentre oggi
è in grado di comprendere tutti e di farsi capire da tutti, se avesse
adottato il gestuale sarebbe forse stata in grado di comunicare con
i suoi simili e probabilmente sarebbe vissuta meglio, ma nel solo
mondo dei sordi.
Di nuovo il bivio: gestuale o parlato?
Non sarebbe forse più giusto dare la possibilità di scegliere l'uno o l'altro metodo,
mettendo bene in chiaro le implicazioni positive e negative presenti in entrambi?
E' moralmente accettabile difendere a spada tratta il gestuale, coinvolgendo emotivamente
milioni di persone (che non conoscono i termini del problema) attraverso lo schermo
televisivo mediante l'intervento di una attrice così famosa?
Perché non organizzare una tavola rotonda che coinvolga nel dibattito persone sorde e
non, esperti ed associazioni che illustrino le diverse strategie perseguibili dai non
udenti per mettersi in relazione con gli altri?
Una mamma
Ho letto il libro di Emmanuelle Laborit "Il grido del gabbiano"
recentemente pubblicato dalla Rizzoli editore e mi complimento per la sua grande prova di
coraggio. Un coraggio che pochi saprebbero affrontare, tante sono le avversità della vita
di un sordo.
Anche io sono sorda dalla nascita come Emmanuelle, ma le nostre storie non si assomigliano
nemmeno un po'.
Mi chiamo Raffaella Benvignati e sono nata a Milano 26 anni fa da due genitori
normoudenti: papà medico e mamma ortofonista.
Quando a 21 mesi mi diagnosticarono l'ipoacusia bilaterale profonda, i miei non si persero
d'animo e consultarono parecchi specialisti italiani e anche stranieri.
Andarono a Londra per essere sicuri della diagnosi. A quel punto sono stata rieducata al
linguaggio orale da mia madre. La scelta è caduta automaticamente sul linguaggio orale,
dal momento che la nostra vita si basa sulla comunicazione.
Comunicare è essenziale per vivere e affrontare i problemi quotidiani della vita anche se
ciò comporta molte difficoltà per la maggior parte dei sordi profondi o totali. Molte
persone sorde nel mondo si avvalgono del bilinguismo, sfruttando non solo il linguaggio
orale, ma anche il linguaggio dei segni.
Senza dubbio il linguaggio dei segni è di grande aiuto per una persona non udente: esso
coinvolge la mente e il corpo con il solo movimento delle mani. Ma è in grado un
normoudente di capire il mistero del linguaggio dei segni?
Nel nostro paese il linguaggio gestuale è praticato solo da una minoranza e ciò comporta
all'individuo sordo un dialogo limitato con poche persone.
Sono esclusi da questo tipo di linguaggio tutte quelle persone che non hanno mai visto un
sordo in vita loro.
Vorrei altresì aggiungere che la nostra coetanea Emmanuelle rifiuta tassativamente
qualsiasi tipo di progresso nella medicina dell'orecchio.
Perché considerare l'impianto cocleare come una sorta di maleficio?
Oggi l'impianto ha raggiunto buoni risultati su giovani pazienti audiolesi e, sicuramente,
in futuro farà progressi enormi.
Raffaella Benvignati
LE MADRI NON SBAGLIANO MAI.
Giovanni Bollea
Ediz. Feltrinelli
Ho esaminato con estremo interesse il libro "Le madri non
sbagliano mai" del prof. Bollea.
Nel volume viene analizzato il pianeta famiglia, ampliato all'ambiente circostante di
parentele, di amicizie, di influssi sociali compresi, naturalmente, la scuola ed i mass
media.
Si descrivono i vari aspetti dell'educazione, intesa come via per impostare una formazione
solida ed armonica nello sviluppo del bambino.
Dalle complesse tematiche analizzate traspare un'esperienza professionale filtrata da una
carica di profonda umanità e comprensione. "Una madre capace di armonizzare
l'istinto materno con alcune forme di tradizione familiare e con certe nozioni
culturali...è una madre che non sbaglia mai." Ha colto nel segno l'illustre
professore! L'ostacolo sta appunto nel trasformare il ritmo frenetico e logorante della
imprevedibile quotidianità in un contesto sereno, nonostante il bombardamento di
condizionamenti che oppongono interferenze deleterie nei rapporti interpersonali.
"Occorre immagazzinare ossigeno per dare ossigeno..." La sicurezza nelle piccole
e grandi cose per dar corso a vedere l'essenziale nei fatti positivi e negativi della vita
si conquista con notevole autocontrollo sia da parte dei genitori, che degli educatori.
Specialmente i parenti di bambini portatori di Handicap conoscono questi ostacoli e le
loro battaglie interiori, a volte, sono estenuanti...
Viene sottolineata con vigore la necessità di costruire la personalità del figlio con un
padre presente. A questo riguardo è sagace e profondo lo studio sulle devianze del
sentimento paterno e delle relative problematiche (pag. 24).
Se il mondo adulto è disorientato, condizionato, estenuato, rampante, rischia di
sottovalutare i bisogni del pianeta infanzia, bisognoso invece di crescere nella fiducia,
con saldi punti di riferimento circostanti.
Nonostante la complessità degli argomenti trattati, il libro del prof. Bollea prende per
mano il lettore, guidandolo, attraverso un testo agile ed interessante, alla comprensione
dei meccanismi più insondabili del rapporto madre-bambino.
Una madre
Hanno collaborato a questo numero
- Il Consiglio Direttivo
- Raffaella Benvignati
- Emi Bonadonna
- Marta Bonadonna
- Paola Bonarrigo
- Luca Chinetti
- Mario de Miranda
- Claudio Nizzetto
- Paola Oliva
- Alberto Paoli
- Daniela Piglia
- Giulio Scotto
- Tiziano Torriani
- Grafica e impaginazione: Paola Bonarrigo
- Stampa: Poligrap S.a.s. |
PARLIAMONE: periodico trimestrale dell'A.L.F.A.
Distribuzione gratuita ai soci
Registrazione Tribunale Milano 15.5.1993 N. 251
Direttore Responsabile: Brunello Maggiani |
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