PARLIAMONE


notiziario

L'oralismo di oggi

 

Giuseppe Gitti si occupa di sordi a tempo pieno da più di trent'anni (dal 1959), prima come insegnante di scuole per sordi, poi come logopedista e infine come fondatore del C.R.O. (Centro di Riabilitazione Ortofonica) di Firenze. E' autore di un bel libro "Sentire Segni" che abbiamo recensito sul no. 5 di "Parliamone" e direttore responsabile della rivista "I Care", che abbiamo più volte avuto occasione di citare.

 

Il bambino sordo profondo raggiunge un'adeguata competenza linguistica e cognitiva seguendo le stesse tappe del bambino udente, se vengono messi in atto tutti gli strumenti diagnostici, protesici, abilitativi ed educativi previsti dagli attuali protocolli.
Tuttavia, troppo spesso il bambino è il grande assente nell'abilitazione (termine che Gitti preferisce a quello solitamente usato di "riabilitazione" N.d.R.). Difficilmente si parla di "bambini sordi", ma di "sordi". Quello che dovrebbe essere un aggettivo sempre meno qualificativo, diventa un sostantivo.

 

Non è solo una questione terminologica. Infatti come si tenta di vincere il deficit?
Si inizia aggredendo la sordità costringendo il bambino a discriminare solo uditivamente suoni, fonemi, parole e frasi con l'allenamento acustico, insegnando, addestrando, allenando il bambino alla lettura labiale, insegnando l'articolazione, insegnando parole e frasi stereotipate.
In sintesi, lavorando su quello che non c'è.
E' un cerchio chiuso che, per quanto riguarda l'apprendimento della lingua, può consentire il raggiungimento di una competenza comunicativa verbale, ma mai un'adeguata competenza linguistica.

 

La lingua è un'attività creativa che non si identifica con la pronuncia e con l'utilizzo di parole e frasi stereotipate, poche o tante che siano, e quindi non può essere appresa solo con la lettura labiale. La lingua non è tale se non traduce gli stati interiori del bambino e se non accompagna la sua evoluzione ed è per questo che non può che essere un "processo" e quindi non può essere insegnata come un fenomeno statico e passivo.

 

Anche il buon utilizzo delle protesi - ma il discorso, con i dovuti distinguo, riguarda anche gli impianti cocleari - è dovuto non solo alla possibilità di compensare il deficit o comunque di ripristinare un feed back uditivo, ma anche a fattori assolutamente individuali e soprattutto alla possibilità che vengano percepite come parte integrante della persona a tal punto da venire usate in modo automatico, inconsapevole e nei tempi in cui c'è la possibilità che i benefici vengano integrati con le capacità cognitive e con le necessità emotive, affettive e relazionali.
In caso contrario le protesi possono solo contribuire a confezionare parole e frasi stereotipate, ma non a sviluppare la comunicazione prima vocale e successivamente linguistica. Molto spesso per grossolani errori abilitativi ed educativi le protesi sono o sottoutilizzate, o male utilizzate o addirittura rifiutate dal bambino sordo perché proposte senza valutarne attentamente possibilità e limiti, in base al tipo, al grado e all'età di insorgenza della sordità, senza riflettere che le protesi possono "promuovere" una funzione, ma non crearla e senza rispettare i tempi per un naturale processo di interiorizzazione progressiva.

 

Non ho mai incontrato un bambino che non abbia tratto alcun profitto dalla protesi acustica, poiché tutti sono in grado di utilizzare gli elementi fonetici sovrasegmentali; tutti, se protesizzati precocemente, sono in grado di utilizzare la voce, che è la comunicazione verbale per tutti i bambini. È questa la fase più importante.

 

È così che si mette in condizione il bambino di iniziare il processo di apprendimento della lingua, di stimolare tutte le aree cerebrali, di raggiungere naturalmente un buon funzionamento e una buona coordinazione dell'apparato fonoarticolatorio e della respirazione; ma soprattutto di affinare le capacità di percezione, di discriminazione e di identificazione con un procedimento selettivo e sistematico di associazione del suono al significato, con la presa di coscienza che tutto (il corpo, gli oggetti, l'ambiente, l'azione, il pensiero, gli altri, la comprensione, l'espressione, la relazione, l'affettività, la realtà, la fantasia) e che tutte le percezioni (visive, uditive, olfattive, tattili, motorie) favoriscono e permettono ogni singola percezione e che quindi tutti i "segni" concorrono, interagendo, a conoscere, intuire, "sentire", discriminare.
Le correlazioni intersensoriali avvengono in modo conscio e inconscio e con valenze sempre diverse. Sono processi naturali, comuni a tutti i bambini.

 

"Sentire segni" per discriminare... Più sono i segni, più sono le possibilità di interazione e di integrazione e quindi di discriminazione che, è bene essere chiari, sarà sempre parziale; la lettura la-biale resta per il bambino sordo profondo indispensabile.
Con le protesi tutti i sordi profondi "sentono", ma nessuno discrimina, nessuno diventa udente.
E tuttavia tanti sono ormai i giovani sordi che dimostrano che il bambino sordo profondo, quel bambino cioè che, nonostante le protesi più sofisticate, non riesce a discriminare solo uditivamente, ma ha bisogno di "altro", ha la possibilità di raggiungere un'adeguata competenza linguistica seguendo le stesse tappe del bambino udente.

 

E' evidente come una costante situazione comunicativa e affettivo-relazionale sia fondamentale per lo sviluppo della lingua che non può e non deve avere solo un uso pratico, ma in sequenza, affettivo, ludico, pratico, rappresentativo ed infine dialettico.

 

La lingua non può che scaturire dall'esperienza e dagli interessi del bambino. E' quindi solo attraverso una reale e completa interazione con tutti e con tutto che egli può sviluppare e strutturare e arricchire la lingua. Il bambino sordo non può imparare a parlare se non è "immerso" in un ambiente in cui si parla! Purtroppo, molto spesso, con i bambini sordi gli udenti diventano muti.

 

Dopo quanto detto è evidente che l'intervento abilitativo/educativo diventa molto più difficile e complesso. Crollano le certezze, gli elenchi prestabiliti di strategie, di esercizi, di strumenti, di programmi, di schede; crolla la certezza del rapporto lineare tra sordità e apprendimento della lingua. Il compito degli operatori appare allora estremamente difficile e, necessariamente interdisciplinare.

 

Io credo inutile sottolineare l'importanza della famiglia... La famiglia è come l'acqua per i pesci, è come il cielo per gli uccelli...

 

Ma la famiglia non può essere lasciata sola. La migliore informazione, il miglior sostegno, il migliore aiuto, la migliore terapia, il miglior counselling è quello di mettere a disposizione subito della famiglia servizi e personale efficienti in modo da ottenere immediatamente risultati, in modo da evitare sensi di solitudine, d'angoscia, di sfiducia, di chiusura e di colpa, in modo da consentire ai genitori di essere presenti, rassicuranti e gratificanti, in modo da consentire loro di conti-nuare a fare la cosa più importante per il bambino: i genitori.

 

Quanti protocolli, a livello operativo, tengono presenti tutti questi principi?
Purtroppo, questi principi del moderno oralismo sono troppo spesso ignorati, modificati o parzialmente utilizzati perchè non c'è la volontà di organizzare servizi efficienti e capillarmente distribuiti su tutto il territorio nazionale, servizi che dopo quanto detto non possono prescindere da un intervento multidisciplinare: prima il bambino, poi la sordità.

 

Un solo operatore, per quanto preparato, non può essere in grado di rispondere a tutti i problemi.

 

Ecco perchè sono necessari dei centri capillarmente distribuiti su tutto il territorio nazionale, non degli istituti dove rinchiudere il bambino, lontano dalla sua famiglia. L'integrazione è infatti condizione indispensabile per l'abilitazione e l'educazione del bambino sordo, non viceversa, come sempre più spesso si sente sussurrare. La scuola, così come il lavoro, è integrazione, è apprendimento, è cultura, è socializzazione, è vita! La scuola, la scuola di tutti è quel qualcosa che permette di evitare sentimenti di scarsa autostima, di noia, di depressione, d'inferiorità, di frustrazione, di dipendenza, è in una parola, quel "qualcosa" che permette e favorisce una interazione positiva fra comportamento sociale, cognitivo e linguistico.

 

Purtroppo in Italia ognuno fa come vuole, ciò che vuole. L'abilitazione è un'emergenza e l'emergenza è un po' come una guerra... dopo si ricordano gli eroi, ma si dimenticano i morti e i feriti. Il caso migliore, infatti, non rappresenta la media, c'è purtroppo un notevole gap, un notevole contrasto tra i risultati presentati ai congressi e la realtà. L'abilitazione e l'educazione del bambino sordo, considerate le potenzialità, è soprattutto un problema di organizzazione di servizi e un problema culturale.

 

Non si risolve il problema della persona sorda, se non si risolvono i problemi di tutte le persone sorde.

 

Da oltre vent'anni sappiamo che tutti i sordi profondi senza turbe associate hanno la possibilità di raggiungere un'adeguata competenza linguistica e cognitiva. Il problema più grosso per il sordo profondo non è, infatti, la sordità, ma l'assenza della competenza verbale.
Ma questa realtà viene sistematicamente ignorata dai mass media e da tutti coloro che tentano di imporre un'immagine catastrofica dell' integrazione, un'immagine negativa della persona sorda, con la volontà chiara di continuare e programmare sull'insuccesso, invece che sul successo.

 

E' assolutamente necessario "ascoltare" tanti giovani sordi che hanno vissuto l'oralismo (di oggi e non di ieri) e l'integrazione (non l'inserimento) e, successivamente, tutti insieme impegnarci perchè quello che è stato ed è possibile per alcuni diventi possibile per tutti.

 

Dovremmo tutti insieme batterci per avere servizi di abilitazione efficienti su tutto il territorio nazionale e per ottenere tutto ciò che è necessario per frequentare utilmente la scuola di tutti; dovremmo tutti insieme batterci perchè si investa maggiormente nella ricerca e nella disponibilità gratuita di tecnologie e di protesi sociali che possono dare un enorme contributo alla libertà della persona sorda (videotelefono, maxi schermo, DTS, display luminoso, videoscrittura, ecc...).

 

Dovremmo batterci soprattutto perchè non siano più necessarie e indispensabili iniziative "buoniste" che danno continuità alla cultura del pietismo, della compassione, del pregiudizio e quindi dell'emarginazione.

 

Credo che sia giunto il momento per genitori, persone sorde e associazioni, di fare una seria autocritica. In un'indagine effettuata nel 94, il 4,6% della popolazione pensava ancora di non avere diritto al voto.

 

Anche solo questo dato ci fa comprendere quanto sia negativa l'immagine della persona sorda.

 

Non sarà anche perchè per ottenere "qualcosa" abbiamo sempre sfruttato l'immagine "sofferente" della persona sorda?

 

Non sarà anche perchè per ottenere "qualcosa" abbiamo sempre strumentalizzato l'insuccesso invece del successo?

 

Non sarà anche perchè abbiamo sempre cercato di difendere interessi piuttosto che conquistare diritti?

 

Sono solo provocazioni che vogliono sollecitare la discussione su un problema molto complesso e molto importante.
Comunque è certo che con questi atteggiamenti la cultura non si cambia, così come non si cambia presentando qualche caso ritenuto eccezionale; non si cambia con qualche buona azione, ma solo se tutti i giorni e in tutte le situazioni creeremo i presupposti per vivere normalmente insieme a queste persone che possono fare e dare molto di più di quanto noi pensiamo.

 

Ci sono ancora troppi pregiudizi sulle capacità e potenzialità dei giovani sordi che troppo spesso hanno difficoltà a trovare lavoro o vengono impiegati in mansioni inferiori alle loro capacità, alle loro potenzialità e ai loro titoli di studio.

  Giuseppe Gitti

 

Il C.R.O. di Firenze pubblica il periodico trimestrale I care, oltre ad una collana di testi, dallo stesso titolo, di cui fanno parte:
Giuseppe Gitti, 1992, Sentire Segni "... è come se vedessi il rumore"
Valentina Paoli, 1995, Oltre l'ostacolo
Per ricevere queste pubblicazioni, è possibile rivolgersi a:
C.R.O. (Centro di Rieducazione Ortofonica) Piazzale della Porta al Prato, 34/35
50123 FIRENZE
Tel. 055/215113; fax 055/216014

 

 

SOMMARIO di Parliamone n.10




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